sabato 17 marzo 2007

Ci son due coccodrilli...

Quello che potrebbe essere l'atto mediatico finale del dramma di Careggi si consuma sul numero de L'Espresso in edicola da ieri. Una pomposa "intervista esclusiva" alla madre del bambino che lei stessa ha prima rifiutato e voluto abortire, e poi ha pianto. Incapace di riconoscere le proprie responsabilità e il fatto che l'aborto sia dovuto ad una sua libera scelta che avrebbe benissimo potuto non fare, punta il dito accusatore sui medici, su quegli incompetenti che hanno diagnosticato una probabile malformazione, comunque curabile e non inabilitante, e non l'hanno informata adeguatamente, almeno secondo lei - interessante notare che in due o tre punti dell'articolo, l'anonima signora affermi di non ricordare cosa le avessero detto.
Qui ci soffermiamo un momento sul box contenente un intervento di Livia Turco che, in virtù di un paio di affermazioni che vado ad esporre, posso quasi definire "esilarante".
Primo: il ministro della Salute afferma che gli aborti diminuiscono, tra l'altro, per la "non assimilazione dell'aborto a metodo contraccettivo": sarebbe allora da chiedersi il motivo per cui questi aborti vengano praticati. L'articolo 4 della legge 194/78 afferma che l'interruzione volontaria di gravidanza è possibile entro 90 giorni quando la donna "accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito". In pratica è sufficiente che la donna dica "non lo voglio, altrimenti mi deprimerò perché non lo volevo avere" che l'aborto è già giustificato. E questo non è un "contraccettivo tardivo"? L'articolo 5 della legge prevede poi che "il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso [...] di esaminare con la donna e con il padre del concepito [...] le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza". Dall'articolo non emerge che sia stato fatto qualcosa in tal senso: quando la donna ha affermato di voler abortire, la dottoressa si è limitata a spedirla dalla psichiatra. Su questo punto specifico torneremo tra breve, ma mi preme sottolineare come questa mancata applicazione della legge sia un problema diffuso e denunciato più volte, e che, di fronte a chi contesta questo fatto e chiede che nei consultori venga rispettata la legge, inserendo, ove necessario, figure preposte a questo lavoro di ricerca delle "possibili soluzioni dei problemi proposti" che aiuti le donne in tal senso e le faccia desistere dal proposito di abortire, insorgano i "fronti femministi" della sinistra, affermando che questo sarebbe un condizionamento della libertà della donna. A me sembra che il condizionamento e la riduzione della libertà vengano invece dalla forzata mancanza di alternative.
Secondo: Livia Turco afferma anche che "non siamo in alcun caso di fronte a una legge eugenetica". Che anche le malformazioni del feto siano un valido motivo per abortire mi sembra contraddire il ministro, ma forse sono io che sono stupido e non capisco.
Torniamo all'articolo. Ad un certo punto, la mamma mancata (manchevole?) afferma che
"nessuno mi ha mai spiegato che l'interruzione era giustificata dal mio stato psichico. [...] Quando io ho mostrato la mia volontà di abortire, ero convinta che tale interruzione della gravidanza sarebbe stata giustificata dalla malformazione che i dottori avevano prospettato. Solo dopo la visita psichiatrica quando vidi nel certificato che quella gravidanza mi avrebbe potuto esporre a uno squilibrio, allora mi resi conto che l'aborto sarebbe stato giustificato solamente da quello. E' una cosa che mi ha confuso e spiazzato". Alla signora non è balenato in mente che questa mancata informazione da parte della dottoressa sia potuta essere intenzionale, per salvaguardare un minimo la validità della legge 194, per evitare che si preparasse in anticipo il discorso da recitare alla psichiatra per ottenere il proprio bel certificato aggira-paletto anche nel caso che il pericolo di squilibrio psichico non sussistesse affatto. O forse il medico credeva che la signora, appellandosi alla legge sull'aborto, la conoscesse anche - pia illusione.
Ammette poi che le avevano parlato delle possibilità di intervento che avrebbero potuto aiutare il suo bambino a vivere nonostante la malformazione, ma che non ricorda bene. Non ascoltava più, la decisione era già presa: questo bambino non s'ha da fare. Ha continuato imperterrita nel suo proposito, non voleva un bambino senza il bollino di qualità "100% abile". Il resto è storia, e ne ho già parlato ampiamente in precedenza.

Ora questa donna è distrutta dal dolore per la perdita di un bambino che non voleva - un po' paradossale, no? Se la prende con gli errori dei medici per non ammettere che la decisione di
ucciderlo è stata solo sua, e la morte del piccolo una conseguenza di questa sua libera decisione.
Io capisco il dolore di questa madre che ha visto morire il proprio piccolo, e tocca anche me. E se la incontrassi, la abbraccerei e la consolerei come farei con qualunque madre che ha perso il figlio.

Ma prima di farlo le sputerei in faccia.

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