A Firenze una donna incinta viene a sapere di una malformazione del bambino che sta aspettando e, nonostante sia avvisata dai medici che la diagnosi è non è sicura, decide di abortire nonostante sia già alla 22esima settimana. "Povero piccolo, non voglio che abbia una vita di sofferenza!" avrà detto. "Non potrà essere felice, soffrirà solamente!" Con quale scienza possa decidere a priori che quel bambino NON potrà essere felice, come faccia a conoscere già da prima tutta la storia della sua vita futura, è un mistero insondabile. Magari ha parlato con le entità attraverso la
medium Lorem...
Qualcuno si ricorda di quel
dizionario che traduce le parole dette dalle donne in ciò che pensano davvero? Potremmo aggiungere in fondo la frase di cui sopra, traducendola in "Voglio una vita tranquilla e perfetta, non con un bambino handicappato in mezzo alle palle!"
Però Lorem non ha previsto che il bambino sarebbe uscito fuori ancora vivo. Vabbè, doveva abortire, una mazzata in testa e il problema è risolto, no? No: dato che adesso è "nato", e il medico pensa che potrebbe sopravvivere, bisogna fare di tutto per salvarlo; per inciso
non ha affatto quella malformazione per cui doveva essere abortito.
Poco prima era un peso di cui sbarazzarsi, in pochi istanti diventa una persona da salvare. Il
Diritto alla vita, su cui si fonda qualunque altro diritto umano, poco prima non esiste, poco dopo è da difendere ad ogni costo. Cosa è cambiato in quel bambino? Quale incredibile cambiamento è avvenuto perché si cambiasse atteggiamento in maniera tanto radicale? Semplice: è uscito dall'utero. Uguale a prima, identico in ogni dettaglio, se non che un attimo prima era un
feto, una cosa senza alcun diritto, dopo aver oltrepassato l'imene di sua madre si è trasformato in un
neonato, è diventato una persona e va salvato. La magica porta dell'imene, probabilmente attraversata da un campo di energia, gli ha conferito il superpotere conosciuto come Diritto alla vita. Strabiliante.
Strabiliante come, in nome di una distorta libertà di decisione della donna, si possa negare con tanta leggerezza il diritto alla vita del bambino, che fin dal concepimento è già
altro dalla madre, pur essendovi necessariamente legato per poter iniziare il proprio sviluppo. Una donna ha pienamente diritto di assassinare il proprio figlio, preferibilmente quando non sembra ancora un bambino così da pensare che sta solo uccidendo un insieme di cellule, un po' come un fastidioso tumore benigno, o anche più avanti se questo ha il rischio di avere malformazioni che "di sicuro non gli permetterebbero di essere felice" (e mi romperei il cazzo di accudirlo) nascondendosi dietro l'altisonante (e ipocrita) definizione di
aborto terapeutico (che cura unicamente l'egoistica comodità della donna che lo richiede).
Ma poi, davanti all'evidenza oggettiva di trovarsi davanti a un bambino, una
persona, anche le più impenetrabili corazze costruite di "professionalità", e rinforzate da una buona dose di cinismo e di ideologica difesa dei
diritti delle donne,
iniziano a creparsi e a lasciare scoperta l'umanità che si è cercata di nascondere. Per cercare di evitarlo, si pensa a un "consenso informato" da far firmare ai genitori (ma genitori di che, se stanno abortendo?) che chiede se, nel malauguratissimo caso in cui il feto sopravvivesse all'aborto trasformandosi in uno scomodo bambino, si vogliano somministrare tutte le cure possibili perché sopravviva o solo il minimo necessario per farlo schiattare poco dolorosamente. Noi ce ne siamo lavati le mani, la sofferenza del feto, nel caso diventi un bambino, è decisa da voi, è solo vostra responsabilità. Lasciateci la nostra corazza di professionalità e cinismo, per favore.
Ma il diritto della donna a "decidere del suo corpo" è talmente forte, inoppugnabile, inalienabile, che deve essere applicato anche a chi non lo desidera! A Torino una ragazzina di tredici anni rimane incinta, e
vuole che quel bambino... pardon, feto, nasca. Ma i suoi genitori e il tribunale decidono che no, non può tenerlo,
deve abortire perché non va bene avere un figlio così presto. L'aborto viene compiuto, la ragazzina cade in fortissima depressione per quel figlio che le hanno ucciso e vuole suicidarsi. Dopo un po', la madre della ragazzina ammette che "forse avremmo dovuto tenere conto della sua opinione". Ma no, signora! Avete solo difeso il suo diritto, la sua libertà. Non si preoccupi signora, di sicuro sua figlia non si porterà dietro il trauma psicologico per il resto della vita, come accade invece a tante donne che decidono di abortire, ma nessuno parla di questo perché si potrebbe credere che l'aborto non è una cosa buona che salva la libertà. No, signora, lei ha fatto la cosa giusta, e poi non si può certo diventare nonne alla sua età, signora!
Alla fine di tutto questo, due domande mi sorgono:
1. Non sarebbe il caso di essere un po' più laici nel vero senso della parola, come
suggerisce Pierluigi Battista, invece di tapparsi le orecchie gridando "LALALA DIRITTO LALALA LIBERTA' LALALA 194"?
2. Non è che l'imene funziona anche al contrario, cioè toglie il diritto alla vita a ciò che ci entra? Che gli uomini stiano attenti quando hanno un rapporto sessuale, potrebbero mozzare loro il membro temporaneamente privato del diritto di esistere ed avere anche ragione in virtù di questo.